Corbara

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Corbara è una piccola frazione del comune di Orvieto (TR), situata in prossimità della strada statale 448 Todi-Baschi. A Corbara si accede dalla strada comunale di Camorena (Ciconia di Orvieto - Corbara); dalla statale Todi-Baschi passando sotto lo sbarramento della diga e dalla strada comunale Colonnetta di Prodo-diga di Corbara, lungo la quale si trova anche un'altra frazione di Orvieto, Fossatello.
Il paese di Corbara è legato strettamente alle vicende della famiglia nobile dei Montemarte. Agli inizi del XIII secolo i tuderti si impossessarono del castello di Montemarte, che si trovava sulla riva destra del Tevere, in prossimità dell'uscita dalla gola del Forello (tuttora i resti sono visibili).

Vista sul Lago di Cobara 
I Montemarte si spostarono così a Titignano e a Corbara, dove costruirono una grande villa fortificata tuttora esistente. Essi parteciparono attivamente alla vita politica orvietanae e Francesco di Montemarte documentò ampiamente gli avvenimenti locali negli anni dal 1333 al 1400. Giacché i Montemarte erano fedeli allo Stato della Chiesa, la loro tenuta subì numerosi assedi e devastazioni nel corso del XIV e XV secolo, ad opera di armate perugine e tuderti.
 
Nel 1962 venne costruita la diga sul Tevere, a formare così un imponente bacino idroelettrico da 207 milioni di m³. 
La diga è lunga 641 m, di cui 416 in cemento e 225 in terra.

Il lago di Corbara è un lago dell'Italia centrale, di origine artificiale, formatosi con la costruzione negli anni sessanta sul fiume Tevere e prende il nome dalla frazione di Corbara.
Fa parte, unitamente ai territori circostanti, del Parco fluviale del Tevere, area naturale protetta dell'Umbria.
Nel bacino sono praticate alcune attività sportive, in particolare il canottaggio.

Diga del Lago di Corbara aperta
Nell'area del lago di Corbara sono attive numerose strutture ricettive quali agriturismi, case vacanza e country house, hotel, villaggi e camping attrezzati, bed & breakfast, appartamenti e residenze d'epoca.
Castello di Corbara  
Citato nel catasto del 1292 come castrum Corbarii passò dai Montemarte (che lì si erano trasferiti, dal castello omonimo conquistato dai tuderti, due secoli prima) ai Monaldeschi della Vipera.
Ha una pianta a C, con un torrione a nord, ed il loggiato a piano terra è sovrastato da un ordine di arcate che chiude il corpo di fabbrica formando un rettangolo.
Agli inizi del 1200 Andrea di Montemarte, imprigionato dai tuderti, fu costretto a cedere il castello di MonteMarte, che era situato alla fine della gola del Forello sulla riva destra del Tevere, in una posizione strategica da dove si vedono le città di Orvieto e Todi (i ruderi del castello sono visibili dalla strada SS Baschi – Todi). 

Castello di Corbara
I conti di Montemarte si ritirarono nel castello di Titignano e di Corbara, estesero i loro possedimenti verso la città di Orvieto e parteciparono attivamente alla vita politica orvietana. La presenza dei Montemarte è testimoniata da varie opere, sulle quali è apposto lo stemma araldico della famiglia. La partecipazione alla vita politica ed amministrativa della città, i numerosi atti bellici dell’epoca furono documentati da Francesco di Montemarte, che fu autore di una Cronaca degli avvenimenti di Orvieto dall’anno 1333 all’anno 1400, pubblicata dal marchese Filippo Antonio Gualtiero nel 1846.
Alcunibrani tratti dalla Cronaca di Francesco di Montemarte: 
Nel 1389 del mese di giugno messer Ranallo Medrato da Orvieto e m’esser Bartolomeo da Prato, ribelli alla Chiesa, con 250 cavalli vennero a fare il guasto a Corbara, portarono via tutto il grano che era nel Piano della Sala e tagliarono i vigneti.
Dopo quattro giorni tornarono messer Bartolomeo e Berardo della Sala con 400 cavalli, con l’intezione di restarci e posero il campo sulle rive del Tevere. Francesco di Montemarte in quei giorni assente tornò in gran silenzio con 100 cavalli, 150 fanti, con gli uomini di Corbara; quelli di Titignano, con a capo Francesco del conte Pietro, con 100 cavalli della Chiesa e rivò in tempo anche messer Simone con 100 cavalli. A mezza notte l’assalirono fecero molti morti, prigionieri e inseguirono gli orvietani fino alle porte della città.Con la morte di messer Ranallo gli orvietani, fino ad allora nemici della Chiesa, firmarono una tregua, fu firmata da Luca di Berardo in rappresentanza degli orvietani e da Francesco di Montemarte rappresentante della Chiesa. L’incontro avvenne nella chiesa di Santa Maria de Stiolo presso il borgo di Corbara. Nel 1392 il 29 giugno i Muffati e i Bertoni (famiglie orvietane) comandati da Candorre di Battipalli con 70 cavalli, 150 fanti di notte entrarono nel borgo di Corbara arsero alcune case e nel ritorno arsero i barconi di gregne con un danno di 100 some di grano. Dopo qualche mese Ranuccio figlio di Francesco attaccò, per vendicarsi, il Botto e lo rase al suolo. Una notte dell’anno 1392 un gruppo di uomini d’armi di Baschi entrarono nel borgo di Corbara rubando cavalli, asini e uccidendo qualche uomo, ma le grida svegliarono i castellani che inseguirono e raggiunsero i predoni sulle rive del Tevere facendoli prigionieri e recuperando il bottino. Nel 1395 nel mese di gennaio per quindici giorni il Tevere fu ghiacciato e quelli di Corbara ci arsero i fuochi, ci mangiarono, ci ballarono così quelli di Baschi, tale evento non si ricordava a memoria d’uomo. Stesso evento si ebbe anche 1491.
   
La Chiesa di San Antonio
Un documento rinvenuto nell' Archivio Vescovile di Orvieto, risalente alla prima metà dell' ottocento, afferma che la chiesa di Sant' Andrea Apostolo, situata nella frazione di Corbara nel comune di Orvieto, sia stata costruita per iniziativa degli stessi Montemarte tra il XIV e il XV secolo. Posta a monte di un' ampia scalinata che prende avvio dalla strada principale. La facciata a doppio spiovente, stretta da colonne tuscaniche poste agli angoli dell' edificio, crea una cornice che vuole evidenziare la semplice bellezza e armonia di questa chiesa, le paraste sono sormontate da un timpano triangolare.
La parte frontale si presenta intonacata, come le altre pareti esterne ed è caratterizzata da un portale in legno con decorazioni in rilievo di gigli, che ritroviamo nello stesso stemma della famiglia dei Conti di Montemarte,e che, a sua volta, è incorniciato come la facciata, della chiesa e sovrastato da una finestra rettangolare.
L'ambiente liturgico, intonacato e tinteggiato,è costituito da un'unica navata coperta con volte a crociera a tutto sesto, sviluppate su quattro campate che poggiano su di un cornicione sorretto a sua volta da paraste tuscaniche, con presbiterio rialzato protetto da una balaustra in marmo. L'altare maggiore è in marmo policromo, mentre i quattro laterali, collocati nelle nicchie centrali delle quattro esistenti lungo ognuna delle pareti laterali, due per lato, sono realizzati in muratura stuccata.

Chiesa di Sant'Antonio Corbara
Una cantoria lignea, collocata sulla parete opposta al presbiterio, sormonta la bussola d' ingresso.
   
Porto Romano di Pagliano
Il territorio, già in epoca etrusca, era servito da vie di comunicazione stradali che furono riutilizzate successivamente dai Romani. Le vie di comunicazione non erano rappresentate soltanto da strade, ma anche da fiumi, come il Paglia ed il Tevere, a quei tempi navigabili. La navigazione tiberina era privilegiata per gli scambi commerciali così da fornire una rete di comunicazione con punti nevralgici che collegavano Roma con le regioni più interne, attraverso il Paglia, la Nera, l'Aniene.
La presenza di resti di anfore denuncia l'esistenza di vari centri di scambio commerciale e in più il recupero delle strutture murarie, di cisterne, di terme e di impianti portuali testimonia una fiorente realtà abitativa lungo il Tevere.

Porto Romano di Pagliano
Lungo il tratto fluviale si stanziarono gli Umbri, i Falisci, gli Osci, intrattenendo nel IV sec. a.C. rapporti con Roma. Attraverso alcuni punti di raccordo, che permettevano lo spostamento da una riva all'altra,contribuendo a stabilizzare i rapporti, si ritenne opportuno edificare dei ponti, che facilitassero i contatti tra le varie popolazioni.
Ci suggerisce Tito Livio: “e grandi convogli di frumento giunsero a Roma per il Tevere, grazie agli ottimi uffici dell'Etruria." Dionigi D'Alicarnasso testimonia come il Tevere fosse una via facilmente navigabile già in epoca romana :”Il Tevere non è traversato nella sua foce da cumuli di arene, come altri gran fiumi, né dilaga in stagni e paludi, né si consuma in altre maniere prima che giunga nel mare: ma è sempre navigabile con barche fluviali mezzane”.
Livio e Dionigi concordano sul fatto che il Tevere e i suoi affluenti fossero percorsi da piccole, medie, grandi imbarcazioni in inverno e in primavera, tranne che in estate, dato che il livello delle loro acque si abbassava. Tra le merci più diffuse troviamo grano, farina, vino, olio ed ortaggi, prodotti necessari per il fabbisogno giornaliero di Roma. Tra i più importanti ricordiamo il sale proveniente dalle saline di Ostia, stoffe, aromi, cristalli, calzature, bronzi e ceramiche.
In età romana la via fluviale venne particolarmente privilegiata, poiché le comunicazioni sull’acqua erano le più sicure ed economiche. A partire dal I sec. a.C. l’Umbria conosce un riassetto territoriale partendo dalla zona amerino–orvietanotuderte, che permette il collegamento tra le ville romane nel tratto umbro­laziale, garantito da numerosi impianti portuali­fluviali.
Il distretto orvietano ha il suo punto di riferimento nelle strutture di Pagliano, porto attivo dalla seconda metà del I sec. a.C. al IV sec. d.C. Sebbene i primi abitanti di questa zona fossero stati gli Etruschi, il massimo periodo di sviluppo è quello in epoca romana, come attestano i ruderi in opus reticolatum (parametro caratterizzato da elementi in tufo piramidali affogati nel calcestruzzo dei quali rimangono in vista solo le basi quadrate). Pagliano, situato su una lingua di terra a forma di cuneo, assai fertile, dista circa 6 km da Orvieto in direzione Sud­Est nel punto in cui il Tevere riceve le acque del Paglia.  Una recente iniziativa della Soprintendenza archeologica dell’Umbria, in collaborazione con il Corpo forestale dello Stato, ha consentito la “riscoperta” dell’impianto portuale con un’ opera di disboscamento. Mancini(1890) e poi Perali(1919) ritenevano che si trattasse di un edificio termale, per il ritrovamento di alcune tubature entro l’abitato.Tuttavia la sua forma e disposizione, dissimili da quelle in uso nelle terme romane, e la presenza di resti di un ponte sulla sponda sinistra del Paglia in quella zona, indussero C. F. Gamurrini ad ipotizzare che Pagliano fosse una mansio, stazione per viandanti. Il fatto che ci fosse tale struttura implica la probabile esistenza di una strada di fondo valle che collegava Orvieto­Tuder. Ma nel 1913 Ricci, dal nome “Pagliano”, che certamente era quello di una proprietà romana, pensò che si trattasse di una stazione di navigatori e di una villa rustica. Wenceslao Valentini, poi avanzò l’ipotesi che Pagliano fosse quella fabbrica di fittili ordinari, nota con il nome di portus Licinii, sia per il ritrovamento di un bollo figulino con il nome di Licinius al di là del Tevere e sia per il fatto che nelle carte medievali quella zona era designata con il toponimo Ricinianum, possibile correzione di Licinianum. Dalla campagna di scavo condotta nel sito archeologico sono emersi elementi importanti che hanno indotto gli esperti della Soprintendenza archeologica dell’Umbria che Pagliano fosse un importante centro commerciale dell’ Italia centrale. Infatti molte anfore vinarie ed olearie, rinvenute nel sito, testimoniano che qui c’erano magazzini di tali prodotti. La presenza di 16 macine da mulino e di granai a nord­est, attestano che qui c’era un pistrinense opificium in cui avveniva la trasformazione del grano in farina; i molti vasi di arte aretina e campana, ed altri oggetti di gusto raffinato come monili argentei, candelabri, collane, fibule, statue bronzee o di marmo, confermano che qui c’era un emporio commerciale, non potendo così tanto materiale appartenere alla popolazione di stanza, costituita prevalentemente da schiavi. Prima della macinazione il grano veniva lavato in acqua corrente, per mezzo di vasche assai capaci e intercomunicanti per via di canaletti; questi si trovano nei vani attigui alla sala di macinazione, alimentati da una fontana ancora oggi visibile sotto un arco. Per l’asciugatura del grano bastavano aria e sole, ma poiché a Pagliano si lavorava prevalentemente d’inverno per sfruttare la temporanea navigabilità del fiume, si ricorreva ad ambienti riscaldati. Oltre all’aspetto commerciale ed artigianale vi era quello portuale. E’ visibile, infatti, un molo che precede i fabbricati insieme a piloni di ormeggio che fungevano da luogo di approdo e banchina di carico e scarico delle merci. Quindi possiamo parlare di doppio porto fluviale. Complementare ad esso è situata la via terrestre, segnalata da F.C. Gamurrini grazie alla presenza di un tratto di muro costruito con pietra squadrata da ambo le parti simili a teste di ponte.
Il sito archeologico oggi è distribuito su due piani distinti: uno sulla sponda sinistra, l’altro sulla sponda destra. Il piano più basso, quello lungo la sponda sinistra, offre una veduta dell’impianto edilizio che si estende per circa 8000 mq. Il secondo presenta i vani ricolmi di terra alluvionale. Nei vani sono stati ritrovati reperti interessanti, tra i quali frammenti di fittili di arte locale come lucerne e ceramiche aretine e utensili come aghi e anfore e una grande quantità di monete coniate dall’epoca di Augusto fino a quella di Costanzo, che indicano che quel luogo era sede di scambi commerciali. Altri ritrovamenti testimoniano alcuni vani che avevano la funzione di bagno, provvisti oltre che di vasche, anche di oggetti da toilette; in altri sono stati rinvenute colonne in travertino, cippi sepolcrali, nicchie semicircolari e canali per scaricare l’acqua. Probabilmente nella parte inferiore, quella che guarda il corso del Paglia, si pensa che ci fosse la zona adibita alla macinazione e che il vano centrale possa essere stato un luogo di mercato con intorno un ambulacro coperto. Sicuramente in questi luoghi c’era un’intensa attività dovuta sia all’affluenza degli abitanti che vi si recavano per compere o per lavoro, sia di negozianti, di bottegai e di comuni viandanti. La popolazione che abitava la zona limitrofa al porto era di bassa estrazione, ciò è confermato dal fatto che le abitazioni erano addossate le une contro le altre e prive di atrium e peristilium, quindi più assomiglianti alle insulae piuttosto che alle domus gentilizie. Le strutture murarie, le varie iscrizioni, le epigrafi, le monete, la ceramica, sono dati che ci consentono di stabilire una delimitazione cronologica entro la quale Pagliano ha svolto la sua fiorente attività commerciale e portuale. Si ipotizza che le origini furono molto antiche per la probabile esistenza del porto già al tempo degli scontri tra Roma e l’Etruria per il predominio sul Tevere (IV ­ III sec. a.C.); un’ altra ipotesi lo fa risalire al tempo di Silla, nell’80 a.C., in quanto fu allora che l’opus reticolatum cominciò ad apparire. Ulteriori ricerche potrebbero consentire una datazione ancora più antica: Pagliano sarebbe entrato in funzione ancora prima del I secolo a.C. A conferma di ciò si possono ricordare ruderi di muri in opus incertum.
Di grande importanza per delineare il periodo di attività del porto sono le iscrizioni doliari e le ceramiche di Pagliano; queste sono distinguibili per il marchio con il nome dei vasai noti, per la colorazione nera o rossocorallino e per le figurazioni in rilievo. I vasi neri risalgono al II secolo a.C., mentre quelli rossi al I secolo a.C. Sul lato sinistro del Paglia sono stati ritrovati dei resti di scheletri umani che hanno messo in evidenza un’area di circa 900 mq destinati alla sepoltura. E’ di grande interesse l’aver portato alla luce cadaveri interi deposti in urne di coccio ricalcanti la tipologia degli antichi orci italici. La fine dell’ attività di Pagliano va cercata negli avvenimenti che accaddero tra gli anni 395 a.C. e 408 d.C. L’avvenimento che domina tale epoca è la discesa in Italia di Alarico re dei Visigoti. Il suo intento era quello di ostacolare la navigazione sul Tevere per togliere ai Romani i rifornimenti. Durante questa operazione egli distrusse Pagliano, dopo aver abbattuto anche il porto di Ostia. Molto probabilmente il porto venne incendiato come dimostrano i segni dell’azione distruttiva del fuoco.
Associazione Culturale Il Giglio  
Nata alla fine degli Anni '90 a CORBARA con lo scopo di organizzare eventi sia culturali che ricreativi nella propria frazione con lo scopo di mantenere vivo un paese composto da poche centinaia di persone.
L'associazione è composta dalla maggior parte degli abitanti del paese ma anche da persone nativi di Corbara che per varie cose si sono dovute trasferire nei vicini centri quali Ciconia, Baschi ma sono rimasti molto legati al proprio paese nativo.

Durante tutti questi Anni l'Associazione si è impegnata ad organizzare la festa in onore di Sant'Antonio.
Nel corso degli Anni sono state fatte diverse iniziative; sfilate, concorsi, nel 99 ci fu un gemellaggio con la pro-loco di Novellara con la quale si è organizzata una “ finestra sul lago” dove il protagonista era il pesce di lago, da diversi Anni è stata riscoperta un'antica tradizione del Paese quale la passione di Gesù: un gruppo di persone, durante la settimana santa che precede la pasqua passano di casa in casa a cantare la sofferenza e l'agonia di Gesù Cristo che hanno portato alla sua crocifissione, dal 2000 organizza la Sagra dell' Oca, piatto tipico della nostra zona. Da qualche Anno a questa parte un appuntamento fisso è il Ritrovo dei corbaresi, una volta all'Anno tutte le persone nativi di Corbara che per varie vicissitudini si sono trasferiti in tutta Italia, vengono invitati dall'Associazione per trascorrere una giornata insieme e ritrovarsi.
Da qualche Anno l'Associazione partecipa attiva al Cantamaggio di Ciconia ( centro vicino a Corbara) con carri e suoni che celebrano l’avvento della primavera, il risveglio della natura, il ciclo della vita che riprende, portando auguri di benessere per la comunità ed i singoli per la stagione agricola che inizia. 
Dal 2017  ha ristrutturato la scuola di Corbara, ormai abbandonata, con un contratto di comodato d'uso gratuito stipulato con il Comune di Orvieto e grazie a delle DONAZIONI fatte da privati è nato il CENTRO CULTURALE RICREATIVO DI CORBARA.
   
Sagra dell'oca  
Nata per gioco ad opera di un gruppo di amici del posto, desiderosi di riscoprire e far conoscere le antiche tradizioni contadine che andavano scomparendo, la Sagra dell'Oca di Corbara si è ben presto affermata tra gli appuntamenti eno/gastronomici più significativi dell'Orvietano, richiamando ogni anno flotte di buongustai e di estimatori della cucina semplice e genuina. La scelta dell'oca come animale, protagonista della manifestazione, trae le sue origini dall'antica usanza di cucinare questo volatile per festeggiare la fine della trebbiatura: una volta terminata la raccolta del grano, i diversi proprietari si riunivano attorno ad una tavola imbandita per consumare un lauto banchetto che prevedeva come piatto forte l'oca arrostita nei tradizionali forni a legna.
Con l'abbandono dei metodi tradizionali di trebbiatura e l'avvento delle moderne macchine per la raccolta del grano sono scomparsi anche tutti i riti e le abitudini legati a questa attività agricola; nonostante ciò, l'oca arrosto è rimasto uno dei piatti tipici di questo territorio. La Sagra dell'Oca si svolge in località Canino a Corbara, una frazione del comune di Orvieto ed è organizzata dall'Associazione Culturale "Il Giglio", che, ogni anno, riesce a coinvolgere oltre 100 persone, gli abitanti, nativi della frazione amici dell' Associazione, giovani e anziani donne e uomini impegnati in una gara di solidarietà per la buona riuscita della manifestazione.
La solidarietà, del resto, è uno degli aspetti costanti dell' evento. Ogni anno, infatti, la maggior parte dei ricavi della sagra viene offerta in beneficenza ad enti e/o Associazione sia nel campo sanitario che non.
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